venerdì 18 giugno 2010

Cecità

Oggi è morto Josè Saramago.
Cecità è uno dei libri più belli che abbia letto.
E la parola cecità è quello che mi viene in mente quando mi guardo intorno.

Un incubo.

mercoledì 14 aprile 2010

PARACULI

Articolo tratto da Repubblica di oggi

La confusione della Chiesa - di Francesco Merlo

È un disagio più che un errore, non è un'analisi più o meno grossolana ma una reazione scomposta, è un danno che la Chiesa non fa agli omosessuali ma a se stessa.

Il cardinale Tarcisio Bertone, che è un uomo di solito prudente ed è, nientemeno, il numero due dello Stato Vaticano, per difendere il celibato ha abusato dell'omosessualità: "Molti sociologi, molti psichiatri hanno dimostrato che non c'è relazione tra celibato e pedofilia - ha detto in Cile - e invece molti altri hanno dimostrato, me lo hanno detto recentemente, che c'è una relazione tra omosessualità e pedofilia".
Sulla natura e le origini della pulsione pedofila sono state scritte molte cose, ma che ci sia un rapporto statistico-scientifico tra omosessualità e pedofilia è sicuramente una bugia. Detta da un teologo la bugia è ancora più grave. Il cardinale Bertone ha infatti un rapporto altissimo con il candore e con l'amore, un'abitudine filosofica con la profondità, è un uomo di Dio. Perciò davvero ci sorprende che sia entrato a piedi uniti su una questione così delicata e complessa. E ci pare, alla fine, che le sue parole non debbano essere lette come un manifesto teocratico dell'intolleranza a uso e consumo degli omofobi, ma come una drammatica confessione di debolezza, dello stato confusionale in cui si trova la Chiesa cattolica in questo momento.

Tutti sappiamo che la pedofilia è sesso con bambini o bambine, è uno dei tanti misteri della psiche e della storia dell'umanità, la conosciamo dai tempi dell'antica e tollerante Grecia. Per noi è perversione, è depravazione, è violenza perché il pedofilo rende disponibile a sé un corpo che non è ancora animato autonomamente, non è maturo per le scelte sessuali, non è responsabile. Alla bimba o al bimbo viene infatti imposto un rapporto fisico in maniera subdola da qualcuno che è più grande, è autorevole, gode della sua fiducia, esercita una forte influenza spirituale.
Ecco, a noi pare molto strano che un uomo di Chiesa non si renda conto di quanto sia oltraggioso imputare di reato l'omosessualità, associarla alla pedofilia. Noi non abbiamo la presunzione di sapere che cos'è l'omosessuale né qual è la maniera meglio accettata da Dio di definire o di praticare la sessualità in genere. Ma tutti, anche Bertone e il clero di Roma, sanno che la pedofilia è un reato, un feroce abuso e invece l'omosessualità - sia una scelta o sia imposta dalla natura - è comunque legittima tanto quanto l'eterosessualità. Hanno gli stessi titoli. A nessun cardinale è venuto in mente di giustificare o soltanto di associare con argomenti scientifici lo stupro con l'eterosessualità: ci sono eterosessuali stupratori e ci sono eterosessuali pedofili, maschi e femmine, come ci sono ladri calvi e ladri capelloni. Non è il capello che fa l'uomo ladro, illustre cardinale.

E però è così facile replicare al cardinale Bertone che mentre scriviamo stiamo ancora a chiederci che cosa sta succedendo nella nomenklatura della Chiesa di Roma. Noi sappiamo bene che ci sono molti preti all'avanguardia nella battaglia contro la pedofilia e la depravazione violenta. Sarebbe dunque grossolano sostenere che tutti i preti, in quanto celibi, sono pedofili, perché appunto ne vediamo tanti che si danno anima e corpo a difendere i bambini, a proteggere la loro ingenuità, a rilanciare l'immagine evangelica dei pargoli che vanno a Cristo.

Fosse solo dal punto di vista della comunicazione, i pastori di Roma non ne indovinano più una. Sembrano non custodire più il gregge, non proteggere più le pecorelle. Invece di limitarsi a rimediare ai propri difetti e a ripulire la propria comunità dai vizi, rispondendo ovviamente nel merito a chi eccede e a chi attacca per anticlericalismo preconcetto, si arroccano in una difesa aggressiva che è più deleteria degli attacchi subiti. L'idiozia di evocare un complotto sionista perché il New York Times appartiene a un ebreo è una tecnica tipica dei cavernicoli, da Polifemo che accecato dal suo dolore accusava Nessuno, ai falsi protocolli di Sion che imputavano agli ebrei di attentare alla cristianità. Anche la minimizzazione del quotidiano americano, definito "un tabloid", è roba da polemisti di provincia. Da uno dei poteri più antichi, sapienti e collaudati, ci si aspetterebbe un'intelligenza e una spiritualità più attrezzate.

Diciamo la verità: non siamo abituati a una Chiesa che si arrampica sugli specchi, allo smarrimento di una gerarchia ecclesiastica spaventata dagli scheletri negli armadi. Certo Tarcisio Bertone ha il diritto e anche il dovere di difendere la Chiesa e il celibato dei preti, ma offendendo così gli omosessuali tradisce la sua fragilità, espone la sua omofobia, disarma tutti i soldati di Cristo.

giovedì 8 aprile 2010

Forget her - Jeff Buckley



while this town is busy sleeping
all the noise has died away
i walk the streets to stop my weeping
‘cause she'll never change her ways

don't fool yourself
she was heartache from the moment that you met her
my heart feels so still
as i try to find the will to forget her somehow
oh i think i've forgotten her now

her love is a rose pale and dying
dropping her petals and men unknown
all full of wine the world before her
was sober with no place to go

don't fool yourself
she was heartache from the moment that you met her
my heart is frozen still
cause i try to find the will to forget her somehow
she's somewhere out there now

oh my tears are falling down as i try to forget
her love was a joke from the day that we met
all of the words all of the men
all of my pain when i think back to when
remember her hair as it shone in the sun
the smell of the bed when i knew what she'd done
tell yourself over and over you wont ever need her again

But don't fool yourself
she was heartache from the moment that you met her
oh my heart is frozen still
as i try to find the will to forget her somehow
she's out there somewhere now

oh
she was heartache from the day that i first met her
my heart is frozen still
as i try to find the will to forget you somehow
cause i know you're somewhere out there right now

domenica 7 marzo 2010

sempre più in basso, sempre più paura

Dall'articolo di Eugenio Scalfari del 7 marzo 2010 apparso sul sito di Repubblica:


[...] Poiché nel diritto pubblico un precedente produce una variante valida anche per il futuro, questo precedente potrà essere invocato d'ora in poi per condonare qualunque irregolarità procedurale a discrezione del governo. Non bastava il sistema delle ordinanze, immediatamente esecutive e sottratte ad ogni vaglio preventivo di costituzionalità; ad esso si aggiungerà d'ora in poi il decreto interpretativo facendo diventare norma l'aberrante principio che la sostanza prevale sempre sulla forma, come dichiarò pochi giorni fa il presidente del Senato, Schifani, dando espressione impudentemente esplicita ad un principio eversivo della legalità. Esiste nella nostra lingua la parola "sprocedato" per definire una persona scorretta che si comporta in modo contrario ai suoi doveri. La esse è privativa, sprocedato significa appunto "senza procedura".

E bene, stabilire la prevalenza della sostanza sulla forma in materia di procedura non ha altra conseguenza che legittimare l'illegalità permanente nella vita pubblica, o meglio: far coincidere la legalità con il volere del capo dell'esecutivo, cioè stabilire la legittimità dell'assolutismo.

Un decreto interpretativo con potere retroattivo realizza questo gravissimo precedente. Non a caso Berlusconi lo ha preteso facendo balenare ripetutamente la minaccia di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzioni tra il governo e il Capo dello Stato. Gianni Letta è stato il "missus dominicus" di questo vero e proprio ultimatum e - a quanto si sa - l'ha fatto valere con inusitata decisione. Questi gentiluomini del Papa ci stanno dando molte sorprese da qualche giorno in qua sui più vari terreni. Un Letta in armatura e lanciato a passo di carica non l'avevamo ancora visto anche se da tempo sotto il suo guanto appariva sempre più spesso l'artiglio di ferro.

mercoledì 3 marzo 2010

per futili motivi


Finalmente quel giorno arrivò.

Come al solito era in ritardo sulla tabella di marcia. Una breve corsa e poi la frenata: nella porta a vetri vedeva riflessa la sua immagine, accaldata e coi capelli arruffati. Il fiato grosso.

Fece un respiro ed entrò in ascensore, che a quell'ora era sempre vuoto. Si rimise a posto i vestiti con un gesto veloce, passando la mano per tutta la lunghezza dei pantaloni, mentre saliva al sesto piano e il cuore intanto saliva in gola.

L'odore dei corridoi lucidi e la vista delle luci soffuse erano ancora familiari: se li era immaginati centinaia di volte, come se non fosse mai andata via.

Ma l'aria era diversa, non l'aveva riconosciuta. E lei non ci si sentiva avvolta dentro come tanto tempo prima. Era quasi ostile.

E il silenzio, che non era più rotto dalle sue risate improvvise e fragorose o dalla sua voce che si faceva piccolina ma impertinente quando canticchiava durante le ore di lavoro. Era un silenzio pieno e pesante, che riempiva tutto.

Non si sentiva autorizzata a dire nulla: quel posto non era più suo.

La prima, la seconda, la terza porta. Le conosceva tutte, quelle stanze. Sul lato destro e su quello sempre troppo sinistro. E conosceva le facce e le storie che si trovavano all'interno. Era sicura di conoscerle meglio di chiunque altro.

Quando decise di andare via, un anno e mezzo prima, avrebbe voluto fare un collage con quelle facce e quelle storie, raggrupparle cercando di far combaciare dei bordi che mai e poi mai sarebbero stati bene insieme, e poi girare qualcosa che assomigliasse a un documentario, in bianco e nero per cogliere solo l'essenza, e farlo vedere a tutti.

'Ecco, è così che vi vedo io. Anche la persona con cui ho parlato meno, la più antipatica, quella che mi ha considerato meno utile di un tappo di bottiglia, ha contato qualcosa per me.'

Ma, come per tanti altri progetti ambiziosi, non l’aveva portato a termine. Anche perché i suoi mezzi erano limitati, mica come il pensiero.

Solo per far vedere che il suo occhio era sempre attento, e aveva, nemmeno fosse un prete di periferia che conosce tutte le sue pecorelle smarrite, una parola per ognuno di loro.

Tranne l'ultimo, o forse il primo, il più alto di tutti, il più distaccato, con cui lei sperava da tempo di avere un rapporto privilegiato. Ma capitava di non trovare le parole. E allora lo guardava.

A volte le sembrava di non poterne fare a meno.

E quello strano modo che aveva avuto lui, quando lei era andata via, di richiamarla a sé, di farle sapere, in un modo timido ma pieno di calore, che teneva a lei e che, in qualche luogo, sentiva la sua mancanza.

Quel legame era così speciale. Perché unico, irripetibile, tra due esistenze così distanti e diverse fra loro. Perché intimo ma così privo di colpe. Perché condiviso solo fra loro due, perché nessun'altro poi avrebbe capito.

Sarebbe arrivato prima o poi il momento di varcare anche quella soglia, dopo tutti quei mesi. Sentiva il nervosismo solleticarle la schiena, e voleva grattarlo via, eliminare il problema, eludere il pensiero ma non ci riusciva perché in fondo, era semplicemente tutto quello che desiderava.

Varcare quella soglia era la cosa più importante da fare in quella giornata. O forse di quelle ultime settimane, da quando aveva pensato di fargli quella sorpresa.

Tutto il resto, tutte le altre porte con le loro maniglie dorate e i loro stipiti, quella mattina non avevano nessuna funzione. Le porte non dovevano essere aperte o chiuse, le maniglie non dovevano essere afferrate, girate e poi spinte: quella mattina erano lì solamente a spianare la strada che portava in quella stanza.

Avrebbe potuto rischiare di incontrarlo al di fuori dalla sua stanza, ma sperava di aver pianificato tutto in modo perfetto perché non accadesse, e perché la sorpresa si conservasse intatta, facendo attenzione a non tralasciare le cose stupide, che quando non vanno per il verso giusto diventano subito gigantesche.

Arrivare lì, unire i piedi e allineare tutto il corpo nel modo più composto e ordinato che conosceva. Superare le chiacchiere degli altri e le domande già sentite con la risposta data. Scavalcare tutto e tutti con un salto, certa di avere gambe più lunghe degli altri.

E così, scostare i capelli dal viso e raddrizzare la schiena, e col petto in fuori entrare lì dentro, piena di speranze che sperano chissà cosa.

Era certa di trovarlo così, come sperava di averlo visto solo lei. Davanti a quel tavolo dai bordi smussati, lungo i quali le piaceva passare le mani le poche volte che si era seduta di fronte a lui, circondata da quelle tende bianco latte che erano perennemente abbassate, e lei aveva così voglia di avvolgerle e riempiersi gli occhi di tutto quello che c'era intorno.

Ma si ricordò che le veniva voglia di farlo solo quando in quella stanza non c'era lui.

Non era una figura piccola, insignificante, che non riempiva il titolo che gli era stato attribuito. Aveva dignità ed eleganza anche se non lasciava trasparire nessun sentimento, neanche un cedimento di vanità. Anche se a volte per trasformare un'idea in parole le pareva ci mettesse un secolo e lei cominciava a sentire quanto facevano male i tacchi, a stare lì così, in piedi, cercando sempre di tenere la schiena dritta. Passava così tanto tempo che a volte pensava di voler scappare perché si era dimenticata cosa gli avesse chiesto. Poi la risposta alla fine arrivava e la sorprendeva sempre, e si chiedeva perché parlasse così poco uno che aveva cose intelligenti da dire, e tutti gli altri invece stavano sempre a bocca aperta, a dire o urlare qualcosa di inutile.

Stava lì, girato verso la tastiera, con i gomiti sulle ginocchia perché anche quella sedia non era adatta alla sua altezza, chissà se stava comodo. La bocca coperta dalla mano per aiutare la concentrazione. La luce azzurrina dello schermo che rifletteva su quella più blu dei suoi occhi.

Ecco cos'era. Era quella luce che lei voleva guardare dritto quando arrivava la mattina, e scoprire se il colore era diverso da un giorno all'altro. O, semplicemente, guardare. E sorridere.

Non se l'aspettava. Lei non si aspettava la sua reazione e lui non si aspettava lei. Restarono immobili per qualche secondo ma lei non poté fare a meno di lasciar uscire il suo imbarazzo allargando le labbra in un sorriso. Non sapeva fare altro, e per quanto si sentisse stupida, non riusciva ad evitarlo.

Lui, quando aveva sentito bussare, era pronto ad arrabbiarsi, credendo che alla porta ci fosse l'ennesima scocciatura a quella clausura imposta dall'interno, quando è così difficile mescolarsi agli altri, se poi si deve cercare di gestirli.

Si sciolse poco dopo, con un'espressione di sorpresa. Quella doveva essere una mattina come tutte le altre.

venerdì 12 febbraio 2010

Politica italiana

Non sarebbe bello ripartire da zero, cancellare tutto e ricostruire daccapo?
Cominciare a cancellare dalle due estremità, arrivando fino al centro e
lasciare che il grande vuoto inghiotta tutto.

Lasciar riposare il tutto per qualche tempo, contemplando il deserto intorno.

E poi far rinascere qualcosina, che piano piano cresce e diventa grande.
Solo, un pochino meglio.
Perchè un pochino meglio ora basta. Può soddisfare le speranze più ardite.